di Maria Gomiero, Avvenire, 1 ottobre 2025
Un mio amico ha comprato casa in un quartiere di Milano dove i prezzi so- no saliti alle stelle. Tutti gli dicono: che fortuna, tra poco puoi rivenderla e guadagnarci. E lui risponde: “Sì, ma poi io dove vado a vivere?”». Sarah Gainsforth, giornalista e autrice del libro “L’Italia senza casa. Politiche abitative per non morire di rendita” (Laterza), sceglie questo episodio come esempio per denunciare l’insostenibilità del modello abitativo italiano. «O si ragiona per speculare o si ragiona per abitare», e questi due interessi non possono convivere. La spesa per la casa, per essere sostenibile, non dovrebbe superare il 30% del reddito: «Secondo questo parametro, nessuna città e nessuna formula di accesso mutuo, affitto libero o concordato è sostenibile per una famiglia che vive con lo stipendio medio di un infermiere». “L’Italia senza casa” è il ritratto di un Paese in cui la casa è diventata un lusso e dove «la crisi abitativa non riguarda più solo le fasce fragili, ma anche il ceto medio, chi lavora». Intanto, paradossalmente, ci sono quasi dieci milioni di case non occupate né locate, il 27% dello stock residenziale. L’autrice – che presenterà il suo libro venerdì alle 17: 30 al Festival di Internazionale a Ferrara – documenta con precisione la situazione attuale per cui l’aspettativa di guadagno dalle case è cresciuta così tanto da risultare irrealistica e socialmente dannosa. Tra il 2001 e il 2021, a Milano i prezzi delle abitazioni del centro sono aumentati del 70%, e a Roma del 56%.
Per la ricercatrice, il risultato è che «Milano non è più una città per stu- denti, infermieri, insegnanti. Per lavorare lì serve avere già una casa o una famiglia ricca alle spalle. Le città a uso di investimento non sono più per le persone». Nell’analisi di Gainsforth, una parte consistente è dedicata alla gestione o, meglio, la “non gestione” degli affitti brevi. Nel 2018 l’Italia è diventata il secondo mercato europeo per Airbnb con prezzi così alti che oggi basta affittare 150 giorni l’anno per guadagnare l’equivalente di un anno di locazione tradizionale. «È chiaro perché i proprietari scelgano i turisti – continua l’autrice –, ma questo atteggiamento sottrae case ai residenti stabili, riduce l’offerta ordinaria e fa esplodere gli affitti». I numeri parlano da soli: a Roma un Airbnb costa in media 215 euro a notte, a Venezia 211, a Firenze 208. Di conseguenza in un decennio il centro della Capitale ha perso il 38% della popolazione, mentre a Bologna, Firenze, Napoli, Palermo e Venezia circa il 30% delle abitazioni del centro storico è stato messo a disposizione sulla piattaforma. Politiche di regolamentazione, in realtà, ci sono già ma, sottolinea la giornalista, «vanno nella direzione sbagliata: gli affitti brevi fino a quattro appartamenti sono stati tassati meno del primo scaglione Irpef e i fondi immobiliari godono di agevolazioni fiscali di cui si parla molto raramente».
Lo stesso concetto di rigenerazione urbana è stato svuotato dalla componente sociale ed è rimasta solo la parte edilizia. La riqualificazione, secondo Gainsforth, è diventata uno strumento utile per la valorizzazione immobiliare privata, che fa guadagnare solo i proprietari. Per la scrittrice il tema centrale è la redistribuzione: «Mancano politiche fiscali di redistribuzione del valore generato, servono politiche abitative che limitano l’aspettativa di rendita sproporzionata. Inoltre, gli oneri urbanistici in Italia sono tassati al 6- 7% contro il 30% di altri Paesi europei». L’autrice sostiene che il processo da attivare sia la demercificazione dell’abitare, cioè lo scardinamento dell’idea che la casa sia solo un bene da monetizzare. La conseguenza è «l’impoverimento della città, con meno scuole, meno servizi, meno spazi pubblici». Per Gainsforth, però, ci sono delle soluzioni alternative: «Bisogna favorire l’affitto, creare un’offerta pubblica e cooperativa a prezzi accessibili, rifinanziare l’edilizia sociale e smettere di vendere». Se l’Italia resta senza casa, a rischio c’è la democrazia stessa e «l’idea di città come luogo di vita e non solo di rendita».