Il 28 marzo scorso a Napoli si è manifestato per il diritto all’abitare. Una gentrificazione galoppante sta colpendo la città con più violenza che altrove anche grazie all’inerzia dell’amministrazione. Negli ultimi dieci anni la città ha perso metà delle case in affitto, una su due è finita su Airbnb e i canoni di affitto sono aumentati del 38%. Oggi quasi la metà degli acquisti di case a Napoli è a uso investimento, cioè speculativo, il dato più alto in Italia, secondo Tecnocasa. Il comune ha proposto di limitare gli affitti turistici al 30% delle case nel centro storico, un numero altissimo secondo la campagna Set-Resta Abitante. La campagna ha bloccato, per ora, il passaggio di una quota di case popolari a Invimit, società di gestione del risparmio del Mef che gestisce la dismissione del patrimonio pubblico, che gestirebbe le case con criteri regressivi, assegnando un punteggio più alto per redditi più alti, escludendo le famiglie con un reddito inferiore ai 15mila euro.
NAPOLI è il laboratorio per una nuova stagione di privatizzazione del patrimonio pubblico attraverso fondi immobiliari. Il Mef ha infatti istituito una cabina di regia per la valorizzazione e la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Vi partecipano anche Invimit e Confindustria Assoimmobiliare, il cui presidente, Davide Albertini Petroni, è consigliere e socio di una piattaforma digitale che intermedia affitti a medio e lungo termini, con canoni che arrivano fino a 7mila euro al mese. Il 17 aprile Invimit ha presentato un piano industriale che prevede l’investimento di un miliardo per un piano di apporti di patrimonio degli enti locali. La giustificazione è sempre la solita: ridurre il debito pubblico. Ma più della metà del debito degli enti locali deriva da interessi applicati da Cassa depositi e prestiti. Il debito sembra creato ad hoc per giustificare l’assalto al patrimonio pubblico, con effetti socialmente inaccettabili oltre che fallimentari.
I DANNI prodotti dalla strategia di finanziare i privati sono evidenti nella vicenda degli studentati, che porterà alla perdita di 1,2 miliardi di euro del Pnrr, perché siamo a quota 11mila posti creati perlopiù da enti ecclesiastici su 60mila del target. Ma si persevera in questa direzione: a novembre è stata annunciata una piattaforma nazionale di investimento immobiliare nel settore delle residenze universitarie, che saranno gestite dal privato Camplus, finanziata anche con le risorse di Cassa depositi e prestiti destinate al social housing.
ANCHE ROMA rischia di essere stravolta dal modello pubblico-privato tutto a vantaggio del secondo. Un ‘grande patto’ tra diversi soggetti sta favorendo l’arrivo di capitali immobiliari privati in cerca di zone dove atterrare dopo aver saturato Milano, la città che ha fatto da apripista alla finanziarizzazione della casa attraverso la ‘semplificazione’ urbanistica oggi sotto inchiesta. Sul lato Piano casa, a Roma qualcosa si muove ma troppo lentamente rispetto alla crisi abitativa, indotta anche dall’aumento degli affitti brevi, e senza una cornice coerente. Il comune ha annunciato 70 mila nuove case: 20mila popolari, 30mila di edilizia residenziale sociale (ers) e 20mila di libero mercato. A oggi però solo 208 nuove abitazioni sono entrate nel patrimonio pubblico, il piano di vendita di quasi 5mila alloggi non è stato interrotto, e le 30mila case ers sono quelle già in programmazione che il comune si occuperà di censire.
SOLO BOLOGNA sembra aver compreso l’importanza di interrompere la vendita del patrimonio pubblico in tempi di emergenza abitativa. Insieme a Firenze, Bologna guida lo sforzo di limitare gli affitti turistici: lo sta facendo attraverso il regolamento edilizio, uno strumento la cui validità è stata confermata da una recente sentenza del Tar. La regione Toscana ha reso possibile per i comuni limitare gli affitti brevi, la norma è stata impugnata dal governo, ma una recente sentenza del Consiglio di Stato ha confermato che le regioni possono legiferare in tema di affitti turistici. È vero che la sentenza 2928/2025 dello stesso Consiglio di Stato sugli affitti brevi ha dato torno al comune di Sirmione ma la decisione ne blocca la regolamentazione perché la regione Lombardia non lo consente. Ma si tratta, appunto, del caso lombardo. Altre regioni invece lo consentono.
DOPO ANNI DI LOTTE finalmente qualcosa si muove. Ma le città da sole non ce la fanno. Il motivo lo ha spiegato il 7 aprile don Mattia Ferrari, vicino alla comunità di Spin Time a Roma, alla conferenza nazionale sulla casa del Pd: «La politica si è sottomessa all’economia, l’economia si è sottomessa alla finanza e questo sta producendo un mondo disumano». La politica può tornare protagonista, ha detto Ferrari a una platea distratta, «prendendosi per mano con la società civile».